I fotografi – Guido Gaudioso

Ciao a tutti e ben ritrovati. per la sezione fotografi, ma valida anche per artisti in genere, voglio proporvi un artista “poliedrico”, poichè è fotografo, ma anche sperimentatore, e amante dell’arte in genere.
Ho deciso di contattarlo per un’intervista, e Guido Gaudioso è stato disponibilissimo.

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Fotografismo: anzitutto, vorrei sapere se possiamo darci del tu…

Guido Gaudioso: Ciao Giorgio, naturalmente possiamo darci del tu. D’altronde condividiamo gli stessi interessi nonché la stessa passione per la Fotografia ed i suoi innumerevoli aspetti. Inoltre ti ringrazio per l’interesse manifestatomi e per l’apprezzamento circa i miei lavori, considerato che provengono da un “addetto ai lavori”.

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Fotografismo: Guido, ti consideri un fotografo, un artista grafico, o…

G.G.: Per quanto riguarda il modo in cui definirmi, devo premettere che non mi hanno mai entusiasmato gli steccati, i recinti concettuali all’interno dei quali rinchiudersi o nei quali, alla fine, ritrovarsi imprigionati. Capisco che a volte, dall’esterno, si senta il bisogno di identificare e definire in qualche modo un artista e la sua produzione ma sarebbe meglio concentrare l’attenzione sul contenuto della ricerca personale (piuttosto che sulla forma, o meglio sul metodo e sulla tecnica utilizzati).
Detto ciò, posso affermare che il mezzo da me utilizzato è senz’altro quello fotografico. Anche nei progetti più sperimentali, come la mia serie “In corpore”, il punto di partenza nonché tutti gli elementi che compongono l’immagine finale sono senz’altro fotografici in senso stretto. Ti dirò di più: sono il frutto – nella fase iniziale – dell’utilizzo della macchina e della tecnologia “analogica”, della pellicola e del processo di stampa in camera oscura. Successivamente mi avvalgo della tecnologia digitale per comporre l’opera finale. Insomma, per rispondere sinteticamente alla tua domanda, mi considero senz’altro un fotografo: lavoro con la luce e attraverso la luce esprimo le mie idee.

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Fotografismo: Ci parli un po’ del tuo percorso artistico, come hai cominciato, chi ti ha guidato?

G.G.: Ho scoperto la fotografia da giovane, grazie a mio padre dal quale ho ereditato interesse ed entusiasmo per questo mezzo, e che mi ha insegnato i primi rudimenti in materia oltre alle tecniche di stampa in camera oscura. È stato lui a trasmettermi questa passione, ma anche il mio nonno paterno, che aveva la casa stracolma di libri e riviste: da lì è nato il mio amore per la lettura e le immagini. La passione è cresciuta esponenzialmente negli anni successivi. Ho lavorato come assistente, per brevi periodi, presso lo studio di alcuni professionisti. Per il resto, mi sono formato da “autodidatta”, leggendo molto e studiando le opere ed il percorso dei grandi maestri della fotografia. Credo sia molto importante conoscere tutto ciò che ci ha preceduto ed imparare il giusto approccio, ispirandosi ai grandi autori del passato e del presente. Così come so bene che, nella mia formazione di fotografo e nella scelta del mio percorso, hanno avuto una grande importanza anche la letteratura ed il cinema. Credo che un autore, per essere tale ed agire con la necessaria consapevolezza, debba aggiornarsi costantemente e – soprattutto – spaziare in tutte le branche del sapere umano, perché innumerevoli e di ogni tipo sono le fonti di ispirazione che se ne possono ricavare.

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 Fotografismo: Il tuo approccio col teatro: voluto o casuale

 

G.G.: Il teatro è uno degli ambiti che da sempre mi affascinano maggiormente. Per svariati motivi: il mio interesse per la figura umana, la gestualità e le tecniche performative, la magia della finzione teatrale e del coinvolgimento narrativo, il grande mistero della “maschera”. A ciò si aggiunga che sin da piccolo ho avuto modo di conoscerne il fascino e la grande capacità di coinvolgimento: non solo perché – avendo frequentato il liceo classico – ho studiato molti dei più importanti autori e delle opere teatrali da questi composte, ma anche per il fatto di essere nato e cresciuto a Siracusa, patria ancora oggi del grande teatro classico e assai famosa per le rappresentazioni che periodicamente si svolgono al Teatro Greco, con le tragedie immortali di geni come Euripide, Eschilo e Sofocle. Crescendo ho collaborato con alcune compagnie d’avanguardia, per la realizzazione delle foto di scena o per la documentazione degli spettacoli presentati al pubblico. Ho imparato a cogliere, fotograficamente, i momenti di maggior pathos espressivo e a ritrarre gli attori in modo da affiancare la fotografia alla messa in scena teatrale, in un parallelismo che mi ha insegnato molto sulla ritrattistica e sul rapporto col soggetto che posa. Direi proprio che il mio “approccio al teatro” è stato assolutamente voluto e ricercato con determinazione, e mi ha dato tanto in termini di crescita personale.

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Fotografismo: Il tuo curriculum artistico è pieno di eventi, anche importanti: quale ti ha dato maggiori soddisfazioni?

G.G.: Ti ringrazio per i complimenti e le gentili parole riguardo il mio curriculum artistico. Non saprei stilare una sorta di “classifica” degli eventi ai quali ho partecipato e che hanno avuto maggiore rilevanza. Lo dico senza retorica: ogni occasione in cui sono stato coinvolto come fotografo, in sede di mostre collettive, festival ai quali sono stato invitato, mostre personali, workshop predisposti e da me tenuti su richiesta di questa o quella associazione, hanno rappresentato l’occasione di aggiungere un ulteriore tassello alla mia formazione e mi hanno comunque dato grandi soddisfazioni. Più di recente ha avuto ed ha – essendo prossima la nuova edizione, nella quale mi è stato confermato l’invito a partecipare come artista – una grande importanza l’evento “Trasformatorio”, patrocinato dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea, occasione di incontro e confronto con alcuni dei più interessanti giovani artisti europei, esperti in nuove tecnologie applicate all’arte e alle performances d’avanguardia. Abbiamo di fatto sviluppato un network, cioè una rete di collaborazioni in forza della quale i lavori e le produzioni che sviluppiamo durante le due settimane di “Trasformatorio” vengono poi veicolati in diverse città europee, in occasione di festival ed eventi d’arte. “Trasformatorio” mi consente di sviluppare – spesso anche mediante la collaborazione con gli altri artisti partecipanti – nuovi progetti e l’utilizzo, per le mie finalità espressive, di nuove tecnologie ovvero approcci e metodi non convenzionali. Insomma, un grande stimolo e una insostituibile fonte d’ispirazione.

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Fotografismo: Parliamo di fotografia: il tuo genere preferito.

G.G.: Mi considero un appassionato ritrattista, un accanito studioso delle forme e dei movimenti del corpo umano. In particolare, ciò che più mi attira nella pratica del ritratto fotografico è la percezione di sé e dell’altro che traspare dal risultato finale, l’esito di un incontro tra il modo in cui io vedo la persona e il modo in cui questa vuole apparire nella foto.Tra questi due estremi si trova un punto in cui accade qualcosa: un momento – quello decisivo, in cui premo il pulsante della macchina fotografica – nel quale entrambi ci distacchiamo dalle convinzioni (e convenzioni) preconcette che indossiamo come maschere. È in quell’attimo che io ritraggo il soggetto. Il risultato è visibile nella mia serie “Portraits”. Sono molto affezionato alla tecnologia analogica: alla pellicola, alle operazioni “alchemiche” di sviluppo e stampa, all’annerimento dei sali d’argento e alla grande magia della camera oscura.Per me la fotografia non è questione di files o di visione istantanea di centinaia di immagini: non è il monitor di una digitale che può farmi intravedere il risultato sperato, ma il mio occhio e ciò che vi passa attraverso. Della tecnologia digitale mi avvalgo, senza adottare miopi comportamenti snob o avere alcun pregiudizio di principio, nella misura in cui può tornarmi utile per i miei fini e per la realizzazione dei miei lavori. Ma di sicuro non voglio “trasformarmi” da fotografo in…perito informatico.

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Fotografismo: Un progetto al quale ti stai dedicando e che ti da soddisfazioni?

G.G.: Attualmente sto lavorando alla serie “In corpore”. Il progetto si propone come una riflessione su un tema quanto mai attuale: il corpo umano, come esso viene oggi fruito e percepito.Oggi siamo di fronte a due atteggiamenti diametralmente opposti, ma che condividono un presupposto iniziale. Da un lato la simulazione di mondi che esistono solo sul web, popolati da individui (oserei dire da corpi) che per molti non sono meno “reali” del corpo in carne ed ossa: qui, tra avatar e simulacri, il corpo viene idealizzato e ricreato a piacimento, secondo i gusti e le preferenze del momento. Dall’altro lato pensiamo alla pratica del “piercing” o quant’altro viene utilizzato per esaltare l’iper-fisicità, per ridestare sensazioni corporali e soprattutto esprimere una rivendicazione di appartenenza. Le questioni di base, secondo me, sono sempre le stesse: “Chi sono io?”, “Cos’è il mio corpo?”, “Dove comincio e dove finisco come individuo? Il mio corpo è un oggetto di cui dispongo o determina ciò che sono?. Per le opere che compongono“In corpore” il punto di partenza sono immagini realizzate con pellicola e la macchina analogica per antonomasia, una Hasselblad 500 c/m. Ma in seguito i diversi elementi che compongono ognuna delle opere della serie vengono ricomposti e montati insieme con l’ausilio del computer. L’intento è anche quello di esprimere una sorta di senso immateriale della materialità, che in fondo è il fil rouge della mia ricerca artistica.

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Fotografismo: Per concludere: ci anticipi qualche tuo progetto o sogno nel cassetto?

G.G.: Non ho “sogni nel cassetto”, nel senso comunemente inteso, ma capisco cosa intendi con la tua domanda. Posso dire che ho in mente – ed in effetti ho già cominciato a lavorarci – alcuni nuovi progetti, legati comunque al mio interesse per il corpo umano, la fisicità e la grande forza evocativa – anche sotto l’aspetto “visivo” – della materia grezza e delle textures che la compongono. Subisco il fascino e l’influenza delle nozioni junghiane sugli archetipi collettivi e sul valore delle immagini e dei simboli ereditati dalla antichissima tradizione ermetica, cui si ispiravano i grandi maestri alchimisti. D’altronde, alle origini e sin dalla sua nascita, la Fotografia – quello chimico/analogica – ha sempre avuto profonde affinità e indubbi collegamenti con l’Alchimia e con i suoi metodi di ricerca. Per questo sto sviluppando una serie fotografica sui muri e la Materia che li compone, con immagini a colori, di grande formato. Probabilmente sarà questo progetto a costituire la mia prossima mostra personale, congiuntamente alla serie di ritratti su identità e sessualità.

Fotografismo: Termina qui l’intervista a Guido Gaudioso, che ringrazio per la cordialità e la disponibilità, nonostante i suoi impegni. Ciao Guido.

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